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Il manager competente

14 gennaio 2014 by Luciano Garagna Lascia un commento

Tradizionalmente la competenza viene descritta come il possesso di una serie di attributi, diversi a seconda del modello di riferimento, ma che tipicamente comprendono: conoscenze teoriche, esperienza pratica, esperienza procedurale, attitudini e tratti personali.

I modelli attributivi della competenza sono alla base delle metodologie di selezione, valutazione e sviluppo del personale nelle aziende di tutto il mondo.

Eppure è evidente per chiunque si occupi di selezione e formazione del personale, che non sempre esiste corrispondenza tra la padronanza delle conoscenze e delle abilità tecniche necessarie per ricoprire un ruolo aziendale e la capacità di interpretare efficacemente il ruolo stesso.

Una teoria stimolante che giustifica questo fenomeno è stata proposta da Jörgen Sandberg (2000), secondo il quale è la rappresentazione concettuale del ruolo da svolgere a determinare in modo rilevante il livello di competenza.

La consapevolezza del ruolo

In questa prospettiva, le modalità con cui gli attori interpretano il ruolo assegnato diventano più importanti dell’acquisizione delle conoscenze e delle abilità necessarie allo svolgimento delle proprie mansioni. È la consapevolezza del proprio ruolo a orientare la competenza professionale e a motivare l’approfondimento e l’utilizzazione ottimale delle conoscenze.

L’approccio interpretativo alla competenza postula che, all’interno di un’organizzazione, possa esistere solo un numero limitato di rappresentazioni del ruolo (da due a sei), le quali sono organizzate gerarchicamente, con i livelli superiori includenti quelli inferiori.

Una peculiarità di questo modello è rappresentata dal fatto che, anche se tutti gli intervistati sono in grado di apprezzare da un punto di vista razionale la validità della rappresentazione gerarchica, il loro modo di agire si conformerà invece al modello interiorizzato.

I professionisti che si comportano in accordo con un basso livello di ruolo, inoltre, tendono a descrivere i livelli superiori utilizzando lo schema di riferimento tipico del loro livello di appartenenza.

Per verificare l’applicabilità pratica del modello interpretativo proposto da Sandberg, ho realizzato un workshop finalizzato a individuare le rappresentazioni concettuali del ruolo di Project Manager, nell’ambito di una specifica realtà aziendale, e a valutare il livello di consapevolezza dei partecipanti.

La sessione pilota del workshop ha coinvolto un gruppo di dieci professionisti, il campione rappresentativo della popolazione di Project Manager di una multinazionale. Attraverso tecniche mirate di dinamica di gruppo sono stati individuati 69 attributi distinti, relativi al ruolo di Project Manager, i quali sono stati successivamente raggruppati dai partecipanti in cinque livelli di consapevolezza (Garagna e Ferrari, 2006).

I 5 livelli di consapevolezza del manager

Le diverse rappresentazioni concettuali del ruolo di Project Manager, di seguito elencate in ordine crescente di competenza (l’elenco include solo alcuni degli attributi, riportati a titolo di esempio), delineano una figura professionale che si evolve da un ruolo passivo ad uno progressivamente più attivo, da un ruolo di comparsa ad uno di attore protagonista.

1°  livello: il risolutore

  • gestire le crisi;
  • documentare le modifiche;
  • rispettare i tempi;
  • controllare i costi;

2°  livello: il manager

  • definire l’ambito del progetto;
  • definire le attività;
  • definire e assegnare le responsabilità;
  • stimare i costi;
  • motivare e gestire i membri del team;

3°  livello: il comunicatore

  • ascoltare le esigenze degli attori interessati al progetto;
  • comprendere le esigenze dei vari attori;
  • gestire la comunicazione;
  • pubblicizzare il progetto;

4°  livello: il leader

  • costruire il team;
  • essere flessibile e propositivo;
  • promuovere il cambiamento;
  • essere responsabile e rispondere delle proprie azioni;

5°  livello: il visionario

  • sviluppare la vision del progetto;
  • immaginare il futuro;
  • allineare gli obiettivi del progetto alle strategie aziendali;
  • individuare sinergie con altri progetti.

Vale più la pratica della grammatica

A questo proposito è interessante osservare come lo stesso esperimento, condotto in precedenza con un gruppo di studenti di un master post-universitario per Project Manager, abbia permesso di individuare solo i primi tre livelli di competenza (Garagna, 2005): la minore esperienza dei partecipanti non ha consentito loro di identificare le dimensioni che richiedevano un grado più elevato di consapevolezza del ruolo da svolgere.

Una volta confermata la supremazia dell’esperienza sulla teoria, sorge spontaneo chiedersi se esistano delle forme di ‘allenamento’ che permettano di effettuare più velocemente il salto da un livello di consapevolezza al successivo. Nell’articolo su come diventare manager propongo alcune opzioni collaudate.

Letture laterali

Consigli per trovare ispirazione e spunti di riflessione, attraverso letture solo apparentemente lontane dal contenuto dell’articolo.

Richard Koch: Il manager 80/20

il manager 80/20Ho riportato il titolo originale perché quello in italiano (vedi immagine a fianco) non ha niente, ma proprio niente, a che vedere con il contenuto del libro. Se ho acquistato il libro è solo perché l’autore mi era già noto per un’opera precedente  in cui divulgava il principio di Pareto (Il principio 80/20), vale a dire il fenomeno per cui un numero minimo di cause (circa il 20%) produce quasi sempre la maggior parte dei risultati (circa l’80%).

Il principio di Pareto è ampiamente utilizzato nell’analisi dei processi produttivi e organizzativi, al fine di migliorare la qualità e di ottimizzare l’utilizzo delle risorse (ad esempio nelle metodologie lean).

In questo libro, Richard Koch propone, oltre ad un approccio generale all’ottimizzazione del tempo e delle energie, 10 metodi per essere un manager più efficiente ed efficace. Si tratta di strategie, come ad esempio il manager investigatore, il manager ricco di tempo o il manager semplificatore, che possono essere adottate indipendentemente l’una dall’altra, sulla base delle preferenze personali, o anche combinate tra di loro.

Il libro, ricco di aneddoti e consigli pratici, descrive situazioni che ho incontrato frequentemente nelle mie esperienza professionali e, forse proprio perché stimola il coinvolgimento personale, l’ho letto tutto d’un fiato, trovandolo appassionante quasi come un romanzo.

A parziale discolpa di chi ha inventato il titolo italiano, va detto che, pur essendo il libro basato su esperienze aziendali, le strategie descritte sono di interesse generale, associabili ad una connotazione più ampia del termine manager, in linea con l’approccio adottato anche in questo sito.

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